Se provi a chiudere gli occhi, quando li riapri non capisci più dove sei. In alta montagna, si direbbe: un camoscio bruca l’erba a due passi da te, sugli speroni dirupati appena oltre le vetrate. Sposti lo sguardo, e sei piombato in pieno medioevo: mura merlate, archi, camminamenti panoramici. Ti affacci, e scopri due cose: i tetti del paese sono appena lì sotto, anche se a te sembra di essere in cielo. E lassù – altissima, ma così vicina da poterla toccare, con gli occhi – la vertiginosa Sacra di San Michele ti ricorda che sei semplicemente adagiato in mezzo ai secoli, comodamente seduto su mille anni di storia, nel roccioso paradiso dove Carlomagno pose le fondamenta dell’Europa, sbaragliando i Longobardi. Un sogno? Volendo sì, ma piuttosto consistente: come il filetto di maiale in crosta di mandorle con salsa alla senape. O i ravioli ricotta e borragine, vongole e bottarga di tonno. Oppure, per i vegani, le “rostie” di patate al rosmarino, crema di carote e spumoni di caprino. Bingo: un ristorante! Meglio: una sala postmoderna, morbida e felpata come un guanto. Luci calde e design essenziale, tutto vetri. Un gioiellino, incastonato fra le antiche mura del Castello Abbaziale del 1100, ardito avamposto visitato da soldati e mercenari (inglesi e spagnoli, poi francesi), prima di finire ai Savoia.
Non è uno scherzo, apparecchiare la storia. Da qualche anno ci provano Francesco e Lucia insieme a Paolo e Davide, mentre Simone Surini – lo chef – è il pensatore che si incarica, in cucina, di sposare le Alpi col Mediterraneo, senza scordare il territorio fatto in casa (pane, pasta, gnocchi) e quello che fornisce le carni artigianali e i formaggi valsusini direttamente dagli alpeggi. Un team giovanissimo, una squadra di amici. Tre di loro hanno lo stesso cognome: Fantino, “made in Sant’Ambrogio”, mentre Simone viene dal paese vicino, Chiusa San Michele. Il “forestiero” è Francesco Curtino, da Susa. Esperienze: bar e ristoranti, anche sulle piste di sci. La montagna è nel cuore di Francesco: al punto d’essersi ritrovato, con Lucia, ad aprire il ristorante più suggestivo del Piemonte proprio tra le rocce in cui vive una colonia di camosci, a bassissima quota. Un balcone d’aria, che riempie lo sguardo e il cuore. E una scommessa spericolata: creare un nido di delizie, tra le mura del maniero che il demanio ha pazientemente restaurato e restituito al pubblico, nel 2016. Che fare, provarci? Detto fatto: i ragazzi ci hanno messo del loro, lavorando sodo. E il risultato li premia: L’Om ‘d Fer è una sorpresa che lascia senza fiato. La scopri all’ultimo metro, dopo una breve salita, e ti domandi da dove venga tanta bellezza, quale piccolo miracolo abbia ispirato la giovane ciurma di pirati eroici, che nel loro castello offrono anche stanze principesche per passare la notte, sognando.
Davide Fantino, il cicerone, spande entusiasmo in forma di leggenda: c’era una bella castellana, la Dama Bianca, che sfidò la sorte come una dea greca per amore di un mugnaio e finì prigioniera della torre. Ma soprattutto c’era L’Om ‘d Fer, un’armatura: fu tutto quello che trovarono, i paesani, quando si fecero largo tra le edere che avvolgevano il castrum, finalmente abbandonato dai francesi. Resurrezione: fu allora che il guerriero accarezzò l’idea di rimettersi in piedi. Dovette aspettare qualche secolo, d’accordo. Ma ne valeva la pena, a giudicare dalla beatitudine che si disegna sui volti degli avventori ai tavoli, tra il piacere dell’accoglienza e quello annidato nei piatti, nei calici accuratamente selezionati, nella grazia che sembra proteggere ogni istante, in quella pace raccolta e sospesa nel tempo. Un rito contemporaneo, che riesce a misurarsi ogni giorno, in scioltezza, con il millennio che ha alle spalle. Niente di meglio che i sapori, allora, per declinare al presente il piccolo tesoro che può offrire una serata: dalle tagliatelle al cacao con sugo di pancetta fino ai ravioli arricchiti con toma di Thures e cipolle caramellate. A vincere è la sicurezza della semplicità, il cocktail perfetto di colori e aromi, nella continua varietà di un menù fatto di ricerca, sapienza e tradizione contaminata dal gusto per l’azzardo, l’invenzione.
Non manca il Piemonte profondo, ma la battuta di fassone sceglie per compagnia i carciofi fritti e la pomata di noci. Chi ama il mare può trovare bei tranci di spada croccante ai pomodori secchi, con pesto di mandorle e carote viola al burro e timo. O ancora: tentacoli di polpo piastrato, emulsionato nella sua acqua e servito con mousse di ricotta e olive, nonché chips di patata viola. Piatto del cuore, fra i tanti? Forse il risotto rosso con le barbabietole, mantecato con toma d’altura e mousse di porri fritti. Mantiene sempre le promesse, il castello rupestre di Sant’Ambrogio. E davvero si fatica a stabilire cosa vinca, esattamente, tra le parole dolci sussurrate dalla sua architettura: lo stile infornale e accogliente, l’atmosfera, i punti esclamativi che festeggiano nei piatti la gioia di una cucina libera, creativa, equilibrata e rispettosa delle materie prime. L’Uomo di Ferro ne sarà felice, ripensando al suo reame d’aria e cielo, sulle rocce che sorvegliano le luci di Torino. Due passi, e ci si arrampica in terrazza: splende un’intera valle, ai piedi di chi sale a visitare L’Om ‘d Fer. Grande spettacolo, dall’anima gentile. Altare di silenzio, sull’antica via dei pellegrini. Si va via a malincuore, eppure consolati: esiste davvero, quel sogno giovanissimo. Ha solo mille anni, in fondo. E ogni volta si accende, sorridendo, preparandosi a stupire.
Via Sacra di San Michele, 34 – Sant’Ambrogio di Torino (To)
Uscita autostrada A32: Avigliana Centro, Avigliana Ovest (5 minuti)
Dormire: 7 stanze, 25 posti letto tra Hotel e Ostello.
Shop: info point turistico
Da vedere: Sacra di San Michele, Bosco delle Meraviglie
Da vivere: trekking, free-climbing,
Telefono: +39 345 4689567
Orari: cena mercoledì, giovedì e venerdì, pranzo e cena sabato e domenica, chiuso lunedì e martedì
Email: info@lomdfer.com
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